sabato 23 dicembre 2006

Un puzzle dai confini incerti

“Riuscirò almeno a mettere ordine nelle mie terre?”

T.S.Eliot

Quando è cominciata? La smania combinatoria, l’esigenza di riannodare fili, colmare lacune, legare ricordi miei e ricordi di ricordi di altri, brandelli di conversazioni, letture, fotografie, poesie, impressioni rimaste nella memoria nitide e nuove come la prima volta. Dico, quando è cominciata questa specie di mania?

Di preciso non lo so, forse cinque, sei anni fa, leggendo all’inizio della primavera “La terra desolata”: rito scaramantico che ripeto ogni volta che torna marzo (“O rondine rondine”), in attesa che torni anche l’aprile, che come tutti sanno è il mese più crudele... Al verso che dice: “ I can connect nothing with nothing”, non posso connettere niente con niente, mi sono impuntata. Sì, probabilmente è andata così, leggendo quelle parole devo aver pensato che il castigo peggiore, l’anticamera della morte, è non sapere, non potere più connettere niente con niente. E quest’idea ha cominciato a ronzarmi in testa e a ripresentarsi a ogni passo.

E allora, finché ci riesco, proviamo a connettere tutto con tutto, mi sono detta. Be’, non proprio tutto, sarebbe un’impresa titanica. Ma almeno qualcosa che mi sta a cuore. C’è un filo rosso, a volte abbastanza sfilacciato, a volte addirittura invisibile, che nella trama della mia vita unisce avvenimenti, personaggi storici, luoghi che per me sono stati importanti. Un filo che si è dipanato attraverso tanti anni, portandomi a rivedere certi posti, sfogliare certi libri, cercare in internet le notizie più strampalate (grazie con tutto il cuore a Google, senza cui non sarei mai e poi mai arrivata a poter mettere insieme queste note).

“Parla, memoria” è il titolo di un libro di Nabokov che amo molto. “E non fare troppi scherzi...” aggiungerei io. Non è detto che quando si racconta qualche esperienza vissuta molto tempo fa, le cose siano andate proprio così. Ho confrontato spesso i miei ricordi con quelli di mio marito e di altri che hanno vissuto insieme a me gli stessi avvenimenti: nessuno ricorda le cose allo stesso modo, anche se sostanzialmente i fatti restano quelli. Ma ci sono dettagli che a me sono rimasti impressi e che altri hanno dimenticato. E viceversa.

Ogni tanto, dinanzi al buio completo dei ricordi degli altri, mi è venuto persino il dubbio che certi particolari la mia memoria li abbia inventati di sana pianta. Tranne poi qualche volta trovarne conferma a distanza di tempo, in una fotografia, o in un libro, o in annotazioni sparse qua e là in vecchie agende.

La fantasia ci avrà anche messo qualcosa di suo (i ricordi immaginari non sono rari, si sa): per quanto mi è stato possibile, però, ho cercato di attenermi ai fatti.

Sono in debito con tutte le letture che ho fatto. Cercherò sempre di citare le mie fonti, che sono le più disparate: dai saggi di Eugenio Garin a Wikipedia , da “Le voyage de Sparte” di Barrès alle dissertazioni dei professori di “Engramma”, (rivista web degli epigoni di Aby Warburg), dalle pagine puntigliose di Carlo Ginzburg a notizie non verificabili, carpite qua e là in internet, dagli scritti di Pier Giorgio Pasini alla Guida Michelin, a... un mucchio eterogeneo di libri.

E, malgrado l’epigrafe prestigiosa, sì è capito che questo racconto non avrà nessuna pretesa di rigore e attendibilità storica? Spero di sì. Non avrà nessuna pretesa in assoluto, è scritto così come viene, alla buona, soprattutto per me stessa. E per gli amici, se vorranno leggerlo.

Alla fine ne è venuto fuori un mosaico – ma no, è un termine troppo impegnativo – diciamo un puzzle, dai confini mobili, che di tanto in tanto si arricchisce di qualche pezzo nuovo, così che cambia continuamente forma. Tanti pezzi sono ancora fuori posto, qua e là ci sono lacune. Riuscirò mai a completarlo? A sistemare tutto in un disegno coerente e che significhi qualcosa, a contenerlo entro limiti precisi? Mah.

Per ora provo a ritrovare il punto di partenza.

Da dove incominciare allora?

Dall’inizio, da quello che per me è l’inizio di questa storia.

Da Mystras, l’antica capitale del Despotato di Morea, da secoli ridotta un cumulo di fascinose rovine. Ma forse, prima di parlare di Mystras, per ritrovare l’atmosfera dei giorni in cui ci sono stata, è meglio fare un passo indietro.

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